LA MUSICA ED I SUONATORI

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Gladiator Maximus
view post Posted on 11/10/2010, 23:57




Provate ad immaginare, per un istante, 25 milioni di adulti tra lavoratori e studenti over 18 (futuri lavoratori) che dicano NO a questo sistema pensionistico e che impongano una RIFORMA RADICALE su questo tema. Pensate ad una NUOVA POSSIBILITA' per fornire a ciascun individuo una pensione GIUSTA ma soprattutto EQUA, con regole certe e valide per TUTTI.

L'attuale sistema pensionistico è un fallimento continuo, nato per una funzione ben precisa, è stato in seguito depredato e svuotato del suo sano contenuto. Per decenni è stato oggetto di ogni sorte di privilegi ed ha costituito in questi ultimi anni un enorme serbatoio di voti e favori per i nostri cari politici e sindacalisti.

Il sistema pensionistico in Italia si era caratterizzato, alle sue origini, come un sistema a capitalizzazione pubblica. Esso consisteva nell'accantonamento dei contributi versati dai lavoratori per costituire delle riserve. Il capitale così accumulato veniva poi investito dall' INPS in operazioni finanziarie ed i guadagni derivanti dal rendimento degli investimenti effettuati si sommavano (o si sottraevano se avvenivano perdite) alle riserve. Al capitale così formato, decurtate le spese correnti di gestione, veniva di volta in volta prelevata la quota necessaria ad erogare le prestazioni pensionistiche a coloro che in quel momento giungevano al termine della propria vita lavorativa.

Poiché le riserve accantonate venivano investite in attività finanziarie (titoli di stato e crediti), a causa dell'inflazione pre e post-bellica il loro valore reale e, di conseguenza, quello delle pensioni, era stato progressivamente eroso: le pensioni medie reali nel '45 valevano meno di un decimo rispetto al 1935.

Nel 1952 fu introdotto il sistema previdenziale cosiddetto a ripartizione. Questo sistema consisteva nel prelevare i contributi dai lavoratori attivi e contemporaneamente con essi pagare le prestazioni ai pensionati. Il tipo di ripartizione introdotta nel '52 era denominata ripartizione contributiva in quanto l'ammontare della pensione percepita era in diretto rapporto con l'ammontare dei contributi versati.

La lotta di classe (operai, studenti, sindacati) portò nel '68 all'introduzione delle pensioni a ripartizione retributiva. Tale meccanismo prevedeva il calcolo della pensione non in base all'ammontare dei contributi effettivamente versati, ma alla retribuzione media di un preciso periodo della vita lavorativa (periodo di riferimento), moltiplicata per un'aliquota relativa agli anni di versamento contributivo ( es. aliquota del 2% per 40 anni = 80% della retribuzione media del periodo di riferimento). Il periodo di riferimento era costituito, nel '68, dagli ultimi tre anni per i dipendenti privati, dall'ultimo anno per i dipendenti degli Enti locali, e addirittura dall'ultimo mese per i dipendenti pubblici.
L'entità dell'aliquota era ovviamente il risultato della contrattazione sindacale.

Ci fu poi di seguito, l'aggancio delle pensioni alla dinamica salariale. Questa "conquista" evidenziò un perverso gioco di classe tra i lavoratori attivi e quelli in pensione, perché la crescita delle pensioni era di conseguenza collegata strettamente agli aumenti dei salari. Questo sistema introdusse provvedimenti ambigui come l'intreccio fra previdenza e assistenza. La mancata separazione fra previdenza e assistenza permise, a partire dalla fine degli anni '60, di finanziare con i contributi dei lavoratori, attraverso l'Inps, il ricorso alla Cassa integrazione, la fiscalizzazione degli oneri sociali ed i prepensionamenti.

Negli anni '80 un'intensa campagna ideologica preparò il terreno per gli interventi nel settore della previdenza pubblica. Il senso generale di questa strategia era riassumibile in questo modo: diminuire la spesa sociale pubblica e allo stesso tempo creare la necessità di sostituirla con quella privata. Di conseguenza si è assistito, a partire dagli anni '90 alle varie riforme fino ai giorni nostri, per garantire le pensioni a quella parte di popolazione che fin dagli anni 50 poteva contare sul sistema a ripartizione. Infatti la riforma Dini del 95 peggiorò ulteriormente la legge Amato del '92 reintroducendo, per coloro che all'epoca avevano meno di 18 anni di anzianità lavorativa, il sistema contributivo del 1952 che era stato eliminato nel 1968. Questa riforma, senza modificare le forme di finanziamento della previdenza pubblica, che resta a ripartizione, ha imposto che a parità di anni contributivi lavorati e di contributi versati, un lavoratore con 40 anni di contributi percepisca una pensione inferiore al 64% della media della retribuzione degli ultimi 10 anni (circa il 45% dell'ultimo stipendio), invece dell'80% assicurato dal sistema retributivo.

E' ovvio, a vedere la nostra storia sulle pensioni, che il sistema così come fu concepito dal 1952 e successive trasformazioni fino agli anni '90 non poteva reggere. Lo sbaglio fondamentale si è rivelato quello dell'aggancio diretto tra generazioni: pensionati-lavoratori. Invece di investire il capitale soggettivo si è preferito depredare e svuotare le casse dell'INPS creando un sistema piramidale come la catena di Sant'Antonio.

A Tutto questo diciamo BASTA! Abbiamo un programma ben preciso e c'è bisogno di TUTTI VOI per realizzarlo.
ASSIEME POSSIAMO FARCELA ! Contano solo i numeri per cambiare la musica ed i suonatori.
 
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